Il RICORDO DI UN LAVORO
di Martina Marotta
La Bemberg era chiusa da anni,
ma non c'era giorno in cui l'anziana signora Sillani non facesse un giro da
quelle parti. Si svegliava presto ogni mattina, come faceva da giovane, e con
il suo piccolo gatto nero si dirigeva verso la fabbrica in disuso. Rimaneva a
contemplarla per qualche ora, girandole intorno lentamente: le finestre rotte,
i macchinari non più in funzione. I cancelli chiusi, arrugginiti. Tutto era
finito ma lei non aveva ancora perso quell'abitudine che ormai faceva parte
della sua quotidianità.
La Bemberg le aveva dato un
lavoro sicuro, un obiettivo per cui alzarsi dal letto alla mattina. E poi lì si
conoscevano tutti. Si stava in compagnia dei propri amici, si eseguiva un
lavoro piacevole e poi si tornava a casa, con il pensiero di aver fatto
qualcosa di buono per cui sarebbero stati ricompensati.
Starsene ferma a fissare
l'edificio la faceva sentire meno sola e inutile.
La fabbrica, come lei, era
stata abbandonata e la signora sentiva di avere qualcosa in comune con quel
posto che tanto le aveva dato. La gente, che la vedeva immobile ad ammirare
quella massa di cemento ormai inutilizzata, la credeva pazza e, per giunta,
aveva sempre con sé un gatto nero, segno di sventura.
Tutti si tenevano lontani da
lei, ma alla Sillani non importava. Le bastava andare alla fabbrica e tutto le
sembrava più facile.
Recarsi lì ogni giorno
significava un po' tornare indietro nel tempo.
Lei sapeva che la fabbrica
inquinava il lago. Ma era rimasta in silenzio. Non le andava il fatto che la
Bemberg distruggesse l'ambiente ma aveva pensato che parlando la fabbrica
sarebbe stata chiusa. La verità, però, venne a galla anche senza il suo
intervento e, non riuscendo a limitare i danni procurati al lago, accadde
proprio ciò che la signora Sillani temeva di più.
Da quel giorno era iniziata
l'ossessione di avviarsi alla Bemberg ogni mattina.
Qualche volta lei stessa
pensava di impazzire. Aveva provato a darsi ad altre attività ma non era
riuscita a farne a meno.
Il gatto nero lo aveva trovato
per caso e lo portava con sé nelle sue lunghe passeggiate. Parlava anche, con
l'animale. Sembrava che la capisse. Comprendeva la sua solitudine, il suo
dolore, il suo sentirsi inutile di fronte a quel mondo che aveva tanto bisogno
di aiuto. Intuiva la sua sofferenza nel non poter più lavorare nell'amata
fabbrica.
La signora Sillani sapeva che
presto sarebbe arrivata anche la sua ora. Nessuno l'avrebbe ricordata, perché
nessuno le rimaneva. L'unico desiderio che portava nel cuore era quello di
poter entrare alla Bemberg un'ultima volta prima di esalare l'ultimo respiro.
Desiderava rivedere i macchinari, riudirne i suoni assordanti, ascoltare il
chiacchiericcio dei dipendenti, ricevere i sorrisi del direttore per l'ottimo
lavoro svolto.
Purtroppo per lei, neanche
quest'ultimo sogno si avverò mai.
Il
racconto è ispirato alla Bemberg, ai sogni di tanti lavoratori e alla delusione
nel vedere l'attuale abbandono
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