venerdì 25 maggio 2012

PREIA BATIZA' 1950


PREIA BATIZA' 1950
di Magda Tamborini

Era da molto che desideravo un figlio e avevo accettato tutto; ero scesa a compromessi perfino con me stessa. Ormai da tre anni avevo iniziato la via dell'adozione e mi immaginavo che presto sarebbe potuta arrivare anche la mia bambina; avrei mandato la richiesta  anche per una adozione internazionale dall'Africa. Tutte le mie speranze erano riposte in quel giudice, quella persona avrebbe potuto cambiare la mia vita: farmi avere una figlia e quindi essere felice, o negarmi di essere madre, negarmi quello per cui sentivo di essere cresciuta.          
Erano le 14.30 e mi trovavo in mezzo alle mie risaie, stavo aspettando una risposta dal tribunale da due mesi. Cercavo di aggrapparmi alla speranza che la burocrazia va a rilento ma dentro di me sapevo che il tempo stringeva: ma possibile che nessun bambino avesse bisogno? Il tempo scorreva, non c'era più nulla da fare.                                                                                                           Improvvisamente, fuori da ogni aspettativa, sentii una voce in lontananza che mi chiamava, era Carlo mio fratello minore che correva verso di me sventolando una busta. Capii subito di cosa si trattasse, il cuore mi batteva forte. Presi il foglio e cominciai a leggere:
"Ritenuto non esservi sufficiente disponibilità e capacità di accoglienza nei confronti di un minore in stato di abbandono****, per questi motivi dichiaro la signora***** non idonea all'adozione di un minore"
Era tutto finito. Il mio desiderio di maternità era stato schiacciato definitivamente da poche righe firmate da un Cancelliere e da un Presidente, che mi comunicavano la non idoneità.
L'unica persona che mi rimase davvero vicino in quel momento fu mia nonna che mi narrava ogni giorno la storia della “Preia Batizà”, un sasso a forma di scivolo che donava un bambino al grembo di ogni donna che ci fosse salita sopra. Erano passati 35 giorni e capii, ascoltando per la millesima volta quella leggenda, che era arrivato il mio momento, il momento di agire.
La voce della mia bis nonna, la sciura Cortese, risuonava come il vento mentre narrava di quella pietra che mi avrebbe cambiato la vita. Decisi che dovevo partire, dovevo cercare il figlio che non arrivava mai, dovevo cercare di aggrapparmi ancora all'ultima speranza che forse mi era concessa. La nonna mandò una lunga lettera a Maria, una donna che abitava nei pressi di Orta che aveva conosciuto quando l'avevano mandata da giovane tra le risaie a lavorare; Maria viveva tra le montagne, luogo abbastanza distante per noi della “bassa”.
Due settimane dopo ero in treno e guardavo dal finestrino i miei cari allontanarsi, osservavo le mie risaie, la mia famiglia, la mia terra mai abbandonata prima di quel momento; tutto si faceva sempre più lontano e sempre più offuscato. Ero veramente molto confusa.
Arrivai alla stazione di Orta, scesi dal treno e scrutai lungo i binari della ferrovia per capire chi fosse Maria. Dalla descrizione riportata nella lettera avrebbe dovuto indossare una gonna, delle scarpe nere, una camicia con dei piccoli fiorellini rosa e un grande scialle con frange lunghe e scure e uno strano fermacapelli antico. Eccola là. Mi veniva incontro con passo svelto e sicuro.
Furono delle presentazioni veloci. Mi prese una borsa, mi afferrò il braccio e cominciò a camminare velocemente per le contorte strade del suo paese. Davanti a un grande portone verde sfilò le chiavi dalla tasca della camicia e aprì la porta. Entrai in un magnifico cortile con un glicine in fiore e delle azalee molto curate con a fianco una panchina di sasso. Mi fece segno di accomodarmi e io mi sedetti; mi prese la mano e mi guardò dritto dritto con i suoi occhi azzurro ghiaccio. Disse con tono serio e profondo: -Tu intraprenderai un viaggio, tu scoprirai le mie leggende; ti farò da guida -. Ero stranita ma annuii senza battere ciglio. La bisnonna aveva sentito da lei la storia della “preia” e io dovevo avere fiducia.
Il giorno dopo cominciò il viaggio.
Primo giorno. Andammo in treno fino a Gozzano, poi a piedi fino a Briga Novarese. Qui due campanili, quello del Colombano e quello di Gargallo, sorvegliavano il paesaggio uno di fronte all'altro, fronteggiando i due opposti dell'esistenza. Stavano lassù come a rappresentare le diversità: il bene e il male, la vita e la morte, il caldo e il freddo, la fertilità e la sterilità.  Maria mi disse parole dure:  - Le tue membra sono opposte come questi due castelli -. Era una donna di poche parole: quando parlava mi si ghiacciava il sangue. La giornata era conclusa. Mi fece sedere in un bar, mi ordinò una tisana alle erbe e mi disse di contemplare gli opposti della vita. Passammo la notte all'osteria Italia a Gozzano.
Secondo giorno. Ci recammo a Gozzano. Camminavamo per un sentierino, a fianco di un ruscello e arrivammo alla Fontana Santa, piccola e modesta ma che non aveva mai finito di donare acqua ai Gozzanesi. Maria disse altre parole, crudeli quanto quelle del giorno prima, - L'acqua è pura, ti laverà le membra. - Quel giorno le visite erano due, la vecchia signora mi trascinò verso la campagna e mi fece fermare vicino a un edificio, alto e con dei buchi in cima. Mi disse di aspettare, infilò la porta, salì e da quei buchi uscirono tanti uccelli che volarono in alto nel cielo. Non ci furono lezioni di vita, nessuna frase sconvolgente. Mi venne solo spiegato che quella specie di torre era un roccolo e che serviva per catturare gli uccelli che lei puntualmente liberava ogni due giorni. Disse che liberava la vita e la lasciava tornare al cielo.
Terzo giorno. Arrivammo alla Chiesa della “Candelora”. Non era grande ma molto frequentata inseme alla Chiesa più sotto. Qui rimasi impressionata quando, dopo la funzione, Maria mi portò in sacrestia e mi mostrò un dipinto su di una parete; raffigurava S. Bernardo, un frate mendicante che teneva nella mano una grossa catena interrotta dalla costruzione di una porta. Non capii mai perchè ci fosse una porta e mi immaginavo un diavolo al posto della porta, arrabbiato e mostruoso. 
Maria disse: - La catena ti tiene legata, devi liberare le tue paure. -
Quarto giorno. A Gozzano il sabato era giorno di mercato, e così mi trascinò per le bancarelle e mi comprò della pasta per focaccia, una bottiglia di vino moscato e una bottiglia d'olio. Arrivate all' osteria Italia mi fece appoggiare tutto sul tavolo e mi disse di prendere il riso che avevo portato dalle risaie e un libro dallo scaffale della biblioteca. Presi tutto e mi fece preparare una focaccia di riso e zuppa d'olio. Quand'ebbi finito mi spiegò che servivano per il mio ultimo giorno, erano i doni che dovevo mettere nelle coppelle del grande masso come offerta alla Madonna perchè si esaudisse il mio desiderio.
Quinto giorno, l'ultimo. Partimmo presto, all'alba e andammo con le cibarie preparate il giorno prima. Entrammo nel bosco; c'era un'atmosfera di pace e di tranquillità che mi faceva sentire bene. Si sentiva il profumo del muschio e il canto di insetti nascosti  Camminavamo su un sentiero quando lei si fermò di scatto e si scostò. Io alzai la testa e mi trovai davanti a un enorme masso che riconobbi subito: la “Preia Batizaa”, lo scivolo della fertilità, quello della leggenda. Era stupendo. Rimasi immobile per qualche secondo e poi guardai Maria estasiata, senza parole. Lei mi prese il braccio e mi spiegò cosa andava fatto perchè il sasso potesse avere efficacia. Ero pronta, sapevo e avevo tutto. La cerimonia ebbe inizio.
Mi inginocchiai davanti al sasso e pregai: un'Ave Maria, un Padre Nostro e un Perdonami Signore. Mi rialzai e presi vino e focaccine. Salii sopra il sasso e posi le focacce nelle coppelle e rovesciai il vino nelle altre; poi mi girai e strinsi le ginocchia al petto, proprio come andava fatto e scivolai giù fino in fondo. Poggiai i piedi a terra e un pianto di bambino si sollevò nel bosco. Preoccupata seguii la voce e arrivai dietro ad un cespuglio, c'era una cesta con una piccola bimba, di pochi giorni; un foglio appoggiato sopra la copertina rosa teneva una scritta agghiacciante "a chi saprà darle un futuro migliore".  Non sapevo che fare, mi guardai intorno per cercare di scorgere una persona che scappasse in lontananza ma non c'era nessuno tranne Maria che mi guardava con un sorriso mai apparso prima. Lei raccolse da terra la bambina e me la porse. Io la presi e la guardai, era bellissima. Maria mi salutò con le parole più belle che potesse dirmi: - Le tue preghiere sono state ascoltate, questa è la tua bambina, te l'hanno donata.- 
Sorrisi, strinsi la bimba fra le braccia e mi diressi verso il sentiero per tornare a casa.

Ispirato alla leggenda della Preja Batizàa presso Auzate (No), dal racconto di G.Valsesia

Nessun commento:

Posta un commento